TRIBUNALE DI PALERMO sezione lavoro Il Giudice Antonio Ardito nella causa iscritta al n. 6607/2014 R.G., promossa ex artt. 442 e ss. c.p.c. da Todaro Antonino, rappresentato e difeso dall'avv. Massimiliano Marinelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Palermo, via Marchese di Villabianca, 54, ricorrente; Contro Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (C.F. 80027390584), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Jeni ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Palermo, Piazza V. E. Orlando n. 41, resistente; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 12 novembre 2014 O s s e r v a Con atto depositato il 16 giugno 2014, il ricorrente di cui in epigrafe - previa rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 10 e 22, comma 2, della legge n. 576/1980, per contrasto con gli artt. 3, 38 e 53 Cost. - chiedeva dichiararsi illegittimo, inefficace e inapplicabile il provvedimento assunto dal Consiglio di Amministrazione della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense del 14 gennaio 2014, con conseguente dichiarazione di illegittimita', inefficacia e inapplicabilita' dell'atto presupposto costituito dalla determinazione della Giunta Esecutiva della Cassa del 28 settembre 2012. L'avv. Antonino Todaro premetteva di: essere stato dipendente dell'INPS dal 1° ottobre 1965 del 31 dicembre 2006 ed iscritto all'assicurazione generale obbligatoria gestita dal predetto istituto; percepire la pensione di vecchiaia, erogata dall'INPS, dal 1° gennaio 2007; essere transitato, in data 11 gennaio 2007, al 67° anno di eta', dall'elenco speciale degli avvocati dipendenti di enti pubblici all'albo ordinario, iniziando cosi' l'attivita' libero-professionale; avere comunicato, annualmente e tempestivamente, alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense il proprio reddito professionale ed il volume di affari; avere versato alla Cassa il Contributo fisso, ma non quello a percentuale; non avere richiesto l'iscrizione alla Cassa entro il 31 dicembre 208, ma solamente in data 23 settembre 2011; avere ricevuto dalla Cassa Forense comunicazione del 25 ottobre 2012, della sua iscrizione a decorrere dall'11 gennaio 2007, con l'applicazione delle penali, sanzioni ed interessi come previsto dall'art. 11 della legge n. 141/1992. Allegava, in particolare, che la Cassa gli aveva chiesto il pagamento di complessivi € 79.961,07 a titolo di contributi, a decorrere dal 2007, interessi, sanzioni e penali. Deduceva variamente la legittimita' del suddetto provvedimento ed in particolare la illegittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 576/1980 per violazione degli artt. 3, 38 e 53 Cost. Ritualmente istauratosi il contraddittorio resisteva in giudizio la Cassa convenuta chiedendo rigettarsi le domande proposte ex adverso con condanna alle spese di lite. La questione di costituzionalita' sollevata dal ricorrente appare rilevante e non manifestamente infondata. La rilevanza della questione si ricava dalle conseguenze economiche che vengono risentite dall'avv. Todaro per effetto del provvedimento di iscrizione d'ufficio con la cennata decorrenza ad opera della Cassa Forense. La non manifesta infondatezza, poi, si ricava dalle considerazioni che seguono. Ai fini previdenziali, il passaggio dall'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'Inps, al sistema di previdenza gestito dalla Cassa, ha comportato la sottoposizione dell'avv. Todaro agli obblighi contributivi conseguenti (tra cui il pagamento della contribuzione previdenziale sui ricavi della sua attivita'). Tuttavia, la Cassa ha sottoposto a contributo soggettivo il reddito annuale dall'avv. Todaro, secondo le stesse regole che si applicano nel caso in cui ad iscriversi sia un giovane avvocato, o, comunque, un soggetto di eta' largamente inferiore a quella del ricorrente. L'applicazione delle stesse regole a situazioni tra loro profondamente diverse determina una palese disparita' di trattamento. In particolare, l'avv. Todaro, a fronte del versamento dei contributi richiesti, non percepira': ne' pensione di vecchiaia, occorrendo a tal fine l'esercizio ininterrotto e continuativo della professione per almeno trenta anni, come richiesto dall'art. 2 della legge n. 576/1980; ne' pensione di anzianita', occorrendo a tal fine l'esercizio ininterrotto e continuativo per almeno trentacinque anni e quindi il compimento dell'eta' di centodue anni, come richiesto dall'art. 3 della legge richiamata; ne' pensione di inabilita', occorrendo l'iscrizione in data anteriore al compimento del quarantesimo anno di eta', come richiesto dall'art. 4 della legge; ne' pensione di invalidita', per difetto dell'iscrizione alla Cassa in data anteriore al compimento del quarantesimo anno di eta', come richiesto dall'art. 5 della legge; ne' potra' far maturare pensione ai superstiti, per difetto dell'iscrizione in data anteriore al quarantesimo anno di eta', come richiesto dall'art. 7 della legge. E cio' senza sua colpa, atteso il disposto dell'art. 22, comma quinto della legge, secondo il quale «Non e' ammessa l'iscrizione alla Cassa per gli avvocati [...] iscritti agli elenchi speciali che esercitano la professione nell'ambito di un rapporto di impiego». Quanto sopra appare in aperto contrasto con il principio enunciato dalla Corte costituzionale, secondo cui «nel sistema della previdenza forense il criterio di corrispettivita' della pensione ai contributi versati non esclude ma concorre con il principio di solidarieta'» (Corte cost. n. 1008/1988), e ancora «il legislatore, in ogni caso, non puo' violare il principio di proporzionalita' che sorregge il sistema pensionistico e non tenere conto effettivamente della contribuzione dei prestatori di opera» (Corte cost. n. 173/1986). Va rilevato che il sistema previdenziale, pur ispirato al principio della solidarieta' tra i diversi assicurati (per cui tra contributi e prestazioni erogate non sussiste un vincolo di corrispettivita'), tuttavia non puo' prevedere che il soggetto interessato partecipi al finanziamento di una prestazione in misura del tutto sproporzionata rispetto a quanto effettivamente gli sara' possibile percepire. Seppure dunque non sia richiesta una rigorosa corrispondenza tra la contribuzione versata e la prestazione poi percepita, sussiste tuttavia il limite della ragionevolezza, entro il quale il legislatore e' tenuto ad esercitare la discrezionalita' attribuitagli dalla legge. In altri termini, sia pure entro i limiti della discrezionalita' riconosciutagli, il legislatore non puo' imporre a carico di un soggetto il versamento di una contribuzione dalla quale non possa poi in concreto discendere un'effettiva prestazione previdenziale. Non a caso, consapevole di quanto sopra rappresentato, il legislatore ha previsto che, ai sensi dell'art. 10, comma 3 della legge n. 576 del 1980, come modificato dall'art. 5, legge n. 141/1992, il contributo da corrispondere in proporzione al reddito sia posto a carico anche dei pensionati della Cassa (i quali dunque gia' percepiscono una prestazione da questa), che restano iscritti all'albo, ma con rilevanti limiti. Infatti, dall'anno solare successivo alla maturazione del diritto alla pensione, i suddetti pensionati non sono tenuti al pagamento del contributo minimo, ma solo al versamento del contributo percentuale sui redditi. Trascorsi cinque anni dalla maturazione del diritto alla pensione, la percentuale di contribuzione viene ridotta al 3%. Per il periodo di cinque anni dopo la maturazione del diritto alla pensione erogata dalla Cassa, gli avvocati hanno diritto a percepire due supplementi di pensione (uno dopo due anni, e l'altro alla scadenza dei cinque anni). La contribuzione versata dopo il limite quinquennale e' invece erogata sostanzialmente a fondo perduto, atteso che rispetto ad essa non viene previsto alcun incremento del trattamento pensionistico. Va qui rilevato che la pensione di vecchiaia retributiva erogata dalla Cassa non e' determinata con il sistema contributivo, ma calcolata facendo riferimento alla media dei redditi dell'avvocato in un determinato arco temporale. Questo e' oggi pari all'intera vita lavorativa dell'avvocato, eliminati i cinque anni peggiori. Per gli avvocati appartenenti alla stessa generazione del ricorrente, il calcolo avveniva, invece, sulla media dei piu' elevati 20 redditi annuali, nei 25 anni precedenti al pensionamento. Di conseguenza, la pensione spettante agli avvocati pensionati, appartenenti alla stessa generazione del ricorrente, e' normalmente superiore alla contribuzione effettivamente versata, tenendosi conto solamente di circa meta' del periodo di attivita' dell'avvocato, solitamente il piu' favorevole, per il calcolo dell'intero trattamento pensionistico (con cio' escludendo i periodi di minore reddito). Tuttavia, cio' avviene solamente per i primi cinque anni, mentre per il periodo per il quale nessuna ulteriore prestazione previdenziale e' erogata, la contribuzione solidaristica viene calcolata nella misura ridotta del 3%. Orbene, rispetto al caso previsto dal legislatore, l'avv. Todaro non percepisce alcun trattamento pensionistico da parte della Cassa, atteso che questo e' erogato dall'Inps. Ne' egli e' nelle condizioni, in considerazione della sua eta', di raggiungere i requisiti previsti dall'art. 2 della legge n. 576 del 1980, per il conseguimento della pensione di vecchiaia retributiva (attualmente pari a 65 anni di eta' con almeno 30 di effettiva contribuzione). In altri termini, il ricorrente al momento deve contribuire al finanziamento di un trattamento previdenziale, che non potra' verosimilmente percepire. Analogamente, qualora sopraggiungesse un'invalidita', il ricorrente non potrebbe comunque fruire di alcuna prestazione, essendo gia' iscritto all'assicurazione presso l'Inps, ed essendosi iscritto alla Cassa dopo il compimento dei 40 anni di eta'. Egli potrebbe invece ricevere esclusivamente la c.d. «pensione contributiva» (rectius: sussidio), calcolata applicando al montante contributivo il coefficiente di trasformazione legalmente previsto. Quindi, a fronte di un esborso complessivo pari, al momento, a € 79.961,07 (senza tenere conto della irripetibilita' del capitale versato), egli potrebbe percepire, allo stato della documentazione in atti, un trattamento pari a € 3.500,00 lordi annui, per cui occorrerebbero almeno 20 anni per esaurire il montante versato, al quale andrebbero aggiunti gli ulteriori versamenti contributivi ancora dovuti, non ripetibili e comunque inutili ai fini pensionistici. Di contro, soggetti i quali gia' percepiscono il trattamento di pensione retributiva, calcolato in misura addirittura superiore ai contributi effettivamente versati, sono tenuti, per il periodo in cui non ricevono alcun trattamento da parte della Cassa, al finanziamento nella sola misura del 3% del reddito annuale. Non appare, quindi, manifestamente infondata la questione di costituzionalita' del citato art. 10 della legge n. 576/1980 per violazione dell'art. 3 Cost., e dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzione, in quanto situazioni analoghe (l'avvocato pensionato della Cassa, per il periodo in cui non riceve alcun trattamento previdenziale, e l'avvocato pensionato dell'Inps, per un periodo che comunque non gli consentira' di ottenere la pensione prevista dall'art. 2, comma 1 della legge n. 576 del 1980), sono regolate in modo profondamente diverso. Parimenti, non appare manifestamente infondata la violazione dell'art. 38 Cost., atteso che l'avv. Todaro viene a finanziare una prestazione della quale egli non potra' godere e potra' invece accedere ad un trattamento notevolmente inferiore ai contributi effettivamente versati. E ancora, appare violato l'art. 53 Cost., dato che l'avv. Todaro e' tenuto a finanziare la spesa previdenziale in misura sproporzionata e maggiore rispetto a quella sostenuta dagli altri suoi colleghi che percepiscono le prestazioni pensionistiche dalla Cassa forense. Per quanto attiene, poi, le sanzioni applicate in ossequio al disposto dell'art. 22, comma 2 della legge n. 576/1980, va ritenuta non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' del suddetto articolo in relazione agli artt. 3 Cost., e dei principi di ragionevolezza e proporzione, nonche' agli artt. 38 e 53 Cost. Dal provvedimento impugnato emerge che la Cassa ha applicato l'art. 22 citato, commi 1 e 2, tale norma prevede che «l'iscrizione alla Cassa e' obbligatoria per tutti gli avvocati e procuratori che esercitano la libera professione con carattere di continuita', ai sensi dell'art. 2 della legge 22 luglio 1975, n. 319. L'iscrizione alla Cassa avviene su domanda, con provvedimento della giunta esecutiva comunicato all'interessato. La domanda deve essere inviata alla Cassa entro l'anno solare successivo a quello nel quale l'interessato ha raggiunto il minimo di reddito o il minimo di volume di affari, di natura professionale, fissati dal comitato dei delegati per l'accertamento dell'esercizio continuativo della professione. Nel caso di infrazione all'obbligo di presentazione della domanda entro il termine suddetto, la giunta esecutiva provvede all'iscrizione d'ufficio, e l'interessato e' tenuto a pagare, oltre ai contributi arretrati con gli interessi e la sanzione di cui al quarto e al quinto comma dell'art. 18, anche una penalita' pari alla meta' dei contributi arretrati; per contributi arretrati si intendono quelli il cui termine di pagamento sarebbe gia' scaduto se l'iscrizione fosse stata chiesta tempestivamente». Dal combinato disposto degli artt. 17 e 18 della legge in esame emerge un sistema che prevede tre diversi tipi di sanzione. E' innanzitutto punito l'omesso invio della comunicazione annuale, sulla cui base sono poi determinati i contributi dovuti dagli interessati, con una penalita' pari a meta' del contributo soggettivo minimo previsto per l'anno solare in cui la comunicazione doveva essere inviata. Viene poi punito il ritardo nei pagamenti con una sanzione pari alla maggiorazione del 15% di quanto dovuto oltre interessi. Infine, si sanziona la mancata richiesta di iscrizione alla Cassa, prevedendosi una penalita' pari ad una volta e mezzo i contributi dovuti per ogni anno di ritardo. Nel caso in esame, l'applicazione delle sanzioni non tiene conto che l'avv. Todaro ha tempestivamente comunicato i suoi redditi alla Cassa, manifestando in tal maniera di non volersi sottrarre ai suoi obblighi, non ha ritardato alcun versamento, dato che la Cassa, che ne aveva l'obbligo, non ha provveduto all'iscrizione cui e' subordinato l'obbligo contributivo. In particolare, a sensi dell'art. 22, comma primo, l'iscrizione e' obbligatoria e la Cassa, nel momento in cui e' informata, ha l'obbligo di provvedervi senza alcuna discrezionalita' e immediatamente, in applicazione del principio «quod sine die debetur statim debetur», per effetto della decorrenza ex lege dei contributi dal momento in cui si verifica l'esercizio continuativo della professione. Cio' spiega pure come la Cassa abbia dovuto riconoscere, con il suo ultimo regolamento, di dovere procedere di ufficio e immediatamente all'iscrizione. In particolare, l'avvocato che - come nel caso in esame - non abbia in alcun modo nascosto il proprio reddito, ed abbia effettuato le ordinarie comunicazioni reddituali alla Cassa, senza pero' richiedere l'iscrizione in modo tempestivo, viene sanzionato in modo piu' grave di colui il quale dopo avere richiesto l'iscrizione, non invii annualmente la comunicazione reddituale ovvero la effettui in modo infedele. In questo secondo caso infatti il ritardato o mancato pagamento sconta solo la sanzione del 15%, mentre nel primo caso la sanzione arriva, complessivamente al 65% dell'importo dovuto. Va, in proposito, rammentato che il sistema previdenziale, nell'ambito della tutela dei lavoratori subordinati, in cui sussistono piu' elevate esigenze di tutela della parte debole del rapporto, ha escluso dall'applicazione delle sanzioni accessorie tutti i casi nei quali il datore di lavoro, con il suo comportamento, abbia dimostrato di non volere nascondere l'esistenza del rapporto contributivo. Il riferimento e' all'art. 4, comma 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183, rubricato «misure contro il lavoro sommerso», il quale ha introdotto un nuovo testo dell'art. 3, commi 3, 4 e 5, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. con mod. nella legge 23 aprile 2002, n. 73. In altri termini, in casi in cui maggiore e' l'esigenza di approntare una forma di tutela (essendo coinvolti lavoratori dipendenti), le violazioni meramente formali non determinano l'applicazione di sanzioni di tipo amministrativo. Nel caso in esame invece, in cui le esigenze di tutela sono inferiori, viene conservata una disposizione che contiene una sanzione del tutto sproporzionata, rispetto all'effettiva lesivita' del comportamento concretamente tenuto. Sicche', appare evidente la non manifesta infondatezza della rilevata questione di costituzionalita' di detta disposizione in quanto situazioni che richiederebbero minore tutela della posizione dell'ente previdenziale, sono invece assistite da una sanzione piu' elevata.